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Ci chiamavano le mosche

  • Voto:
  • (5/5)
  • Età consigliata: da 6 a 10 anni
  • Editore: orecchio acerbo
  • Genere: Distopia | Educativo | Narrativa

Trama

Benvenuti in un nuovo mondo, una versione apocalittica della Terra in cui c’è stato un misterioso Lampo Blu che ha distrutto la vita per come l’abbiamo sempre conosciuta. Ora tutto è deserto, e ci sono montagne di rifiuti un po’ ovunque: quotidianamente, manipoli di ragazzini – chiamati “mosche” – hanno il compito di scandagliare il cumulo di robaccia che è stato loro assegnato per procacciarsi qualcosa da rivendere. In cambio, otterranno preziosa acqua potabile e razioni di cibo (ovviamente, distribuite prima ai maschi e poi alle femmine).
La nostra storia inizia ad Ararat, una delle cataste di immondizia, insieme a Lizzy. Lei e i suoi compagni frugano nella spazzatura alla ricerca di metallo, apparecchi elettronici, alcol, sigarette e giocattoli. Ma un giorno tutto cambia, perché Poubelle, uno dei più scaltri del gruppo, trova un oggetto dal valore inestimabile: un libro. A cosa servirà mai? E ci sarà davvero qualcuno interessato a leggere in un mondo che ormai ha dimenticato il suo stesso nome?

Autore

Davide Calì è fumettista e scrittore. Parallelamente ai fumetti, nel 1998 ha iniziato a scrivere libri per ragazzi. Oltre a essere formatore per alcuni istituti italiani e internazionali (tra cui lo IED) e a collaborare con riviste del settore, Davide Calì è un prolifico autore: le sue opere sono pubblicate soprattutto all’estero (Francia, Svizzera, Spagna, Stati Uniti), mentre in Italia è rappresentato da alcuni importanti editori. Ha vinto numerosi premi e riconoscimenti, in particolare in Francia.

Illustratore

Maurizio A.C. Quarello, classe 1974, è un illustratore italiano. Nato e cresciuto a Torino, oggi risiede a Macerata, dove lavora come professore all’Accademia delle Belle Arti. La sua carriera nel mondo dell’illustrazione, costellata di successi, inizia nel 2004. Da allora Quarello continua a pubblicare albi illustrati con case editrici italiane e internazionali e a disegnare per esposizioni, fiere e prestigiosi committenti di tutto il mondo. Ha ottenuto importanti riconoscimenti, tra cui il Premio Andersen come migliore illustratore nel 2012.
Qui trovate il suo sito ufficiale con un assaggio delle splendide opere da lui realizzate.

Giudizio

Questo albo illustrato mi ha colpito subito, dal primo istante in cui l’ho visto, sia per la trama intrigante sia per l’altissima qualità delle illustrazioni.

In effetti, ciò che conquista immediatamente sono proprio i disegni: le tavole di Quarello lasciano a bocca aperta e spalancano davanti a noi un universo di infinite possibilità. Ci troviamo di fronte a un world building costruito più con i disegni che con le parole, e in ogni illustrazione possiamo perderci a contemplare i numerosissimi dettagli che non solo impreziosiscono la narrazione, ma che rappresentano la storia stessa. Sono rimasta sbalordita dalle incredibili architetture tratteggiate sulla carta, dai continui cambi di prospettiva che incalzano il dipanarsi della trama e permettono al lettore di trovare sempre nuovi stimoli e scorci da cui osservare, sbirciare, godere della storia. Ci ritroviamo così a studiare le rovine di vecchie città dall’alto, e poi veniamo scaraventati per terra, in mezzo alla sabbia, accanto a un oggetto appena estratto dal mucchio, mentre i personaggi ci guardano incuriositi; e, ancora, ci sporgiamo oltre i crinali di dune e rocce, spiando cosa accade poco più su, e poi corriamo al fianco dei churupangi, strane creature di Gran Bazar, per infine approdare nella tenda di un truffaldino venditore o tra gli scaffali di una biblioteca. Un viaggio straordinario, che toglie il fiato, e ci consente di esplorare il libro da punti di vista privilegiati, che sanno di inquadrature cinematografiche.
In tutto questo, ogni singolo disegno, anche il più marginale, è un piccolo capolavoro.
Meravigliose, poi, le combinazioni di colori, con tinte che si accendono di sole e s’incupiscono di ombre, dandoci la percezione del calore del deserto sulla pelle. Prevalgono nettamente il rosso, l'arancio, le terre, e poi il giallo, il grigio, il marrone; il tutto, in netto contrasto con il blu, l’indaco e il viola del cielo. Un vero piacere per gli occhi.

Ci chiamavano le mosche è quindi un libro che si può fruire senza per forza scorrere il testo. Provate a sfogliarlo contemplando unicamente le illustrazioni, senza leggerlo: vi accorgerete di capire tutto, comunque, indipendentemente dalle scritte. Ciò può essere utile in caso vogliate sottoporlo a lettori in tenera età.

Per quanto riguarda i contenuti, ci sarebbe da tenere una conferenza di qualche ora. Cercherò di essere breve: gli spunti offerti dal libro sono innumerevoli, e vanno dalla filosofia alla storia, dalla religione all'uguaglianza di genere. Siamo in un mondo post-apocalittico in cui il sistema econimico, seppur al collasso, ha ricominciato a funzionare: ci sono venditori e compratori, ci sono classi sociali distinte in base al reddito (ma niente soldi, si paga in razioni. I bisogni primari dell’uomo, in tempo di crisi assoluta, sono tornati quelli fondamentali). Chi è più svantaggiato, le umili mosche (forse chiamate così perché devono “ronzare” su una montagna di rifiuti, che neanche troppo simbolicamente rappresentano qualcosa di disgustoso), è costretto a lavorare tutto il giorno per procurare roba da vendere a coloro che sono maggiormente benestanti. Questi ultimi, a loro volta, commerciano con chi è più ricco. E così via, fino ad arrivare in cima alla piramide, dove stanno le classi agiate, rappresentate dall’“Obeso”, un individuo grasso e flaccido che dispone di ricchezze inimmaginabili (razioni di cibo in quantità, mura solide in cui vivere, addirittura un pozzo tutto suo). Il potere, dunque, ancora una volta, è in mano a coloro che possiedono di più.

La società, poi, ha esasperato alcune tendenze maschiliste, tornate alla ribalta in tempo di difficoltà: sono gli uomini a dominare. I maschi hanno più forza per scavare tra i rifiuti e quindi meritano di essere serviti per primi, di avere il pasto migliore. Se qualcosa avanza, sarà per le donne. Un interessante punto di vista che mai come oggi è attuale e trova motivo di discussione, a tutti i livelli. Ancora più interessante è il colpo di scena finale, che restituisce solennità e prestigio a una figura femminile altrimenti bistrattata e messa nell’ombra; dalla società, certo, ma non dall’autore: dopotutto, è Lizzy a narrare la storia. E, come scopriremo alla fine, sarà proprio una donna a mostrare intelligenza, caparbietà, dedizione, capacità di adattamento, astuzia e generosità, nonché amore per la conoscenza.

A proposito di conoscenza: è questo il cuore, il fulcro della storia. L’importanza di preservare il sapere, di diffonderlo, di insegnare a leggere. Il tutto, a costo zero: non c’è prezzo per un libro, è qualcosa di oltremodo prezioso, che non si può scambiare per denaro (o, come in questo caso, per delle razioni). I bibliotecari sono raccoglitori, sognatori, ma non certo mercanti. E la lettura, ad alta voce o in silenzio, un’esperienza ineguagliabile. Ecco quindi che diventa fondamentale donare il libro, condividerlo con il maggior numero possibile di persone, per fornire un servizio alla collettività tutta e per trasmettere la cultura. Dopotutto, c’è gente che spende le proprie razioni per imparare a leggere, quindi qualcosa deve pur significare.

In Ci chiamavano le mosche i nomi sono davvero importanti. Dalla montagna che si chiama Ararat al bibliotecario Salomone, passando per Poubelle, che in francese significa “cestino dell’immondizia”. E che dire di Spider, che ha una fitta ragnatela di rivenditori, alle spalle? Che intesse relazioni e sodalizi? E che, naturalmente, ha al servizio una squadra di mosche?

Interessante come la religione venga vista come uno scambio: ti do qualcosa di impalpabile (ceduto al miglior offerente) e in cambio ricevo una ricompensa, che però non ha un’utilità concreta, nella vita quotidiana. 

Infine, una nota di merito va certamente alla fauna locale, disegnata da Quarello. Ho trovato spettacolari tutte le creature presenti nelle illustrazioni, a partire dal simpatico compagno di Penny fino ad arrivare al pappagallo con il carapace e al gigantesco insetto arrampicato su una roccia, nel deserto. Insieme a tanti altri particolari curiosi, questi personaggi secondari arricchiscono l’ambientazione e la rendono ancora più affascinante (in certi momenti, mi ha ricordato in qualche modo Star Wars).

In conclusione, Ci chiamavano le mosche è un albo magistralmente illustrato, di impronta steampunk e distopica, ricco di spunti di riflessione e di stimoli filosofico-educativi. Un libro evocativo e surreale che veicola un messaggio prezioso e importante nella nostra epoca accecata dal consumismo sfrenato: l’importanza di leggere, di diffondere la cultura, di condividere il sapere. Perché, insieme al cibo e all’acqua, c’è poco altro, al mondo, che possiamo definire davvero prezioso.

Consigliatissimo!

Particolarità e consigli d'uso

  • Ottimo per parlare di rifiuti, inquinamento e dell'impatto che ha l'uomo sull'ambiente, analizzando con i bambini le conseguenze a lungo termine della sovrapproduzione.
  • Indicato per introdurre il tema del minimalismo e per indagare con gli alunni, in classe (o con i propri figli, a casa), cosa davvero possiamo ritenere fondamentale per la nostra vita quotidiana e perché (cibi, oggetti indispensabili...).
  • Utile per parlare di discriminazione sessuale, di uguaglianza e parità di diritti.
  • Indispensabile per approfondire il ruolo fondamentale della lettura, delle biblioteche, delle scuole e di tutte quelle realtà che si fanno portatrici di sapere, nonché per sottolineare quanto sia importante condividere qualcosa anziché cercare sempre, a ogni costo, un guadagno personale.
  • Si presta come punto di partenza per temi in cui venga richiesto ai bambini di descrivere il mondo del futuro o ciò che s'immaginano accadrà in seguito a un evento catastrofico, invitandoli a motivare le proprie scelte.

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