Il Mago di Oz
- Voto:
- (5/5)
- Età consigliata: da 10 a 30 anni
- Editore: Fabbri Editori
- Genere: Avventura | Classici | Fantasy
Premessa
Nota: in questa recensione faccio riferimento alla versione integrale del volume (quella che ho letto io è del 1986, edita da Fabbri Editori). Non ho quindi idea di come siano eventuali riduzioni adattate a un pubblico di più tenera età.
Mi è capitato di rileggere Il Mago di Oz, di recente, e devo dire che addentrarmi tra le sue pagine, in età adulta, mi ha lasciato sbalordita. Ricordavo la storia, per sommi capi (dopotutto, chi non ne ha memoria? Stiamo parlando pur sempre di un classico della letteratura per l’infanzia...), come pure i personaggi (troppo iconici per passare inosservati). Ciò che invece un tempo non avevo colto, e che adesso mi è stato chiaro sin da subito – forse perché questa volta ho potuto metter mano all’edizione integrale – è che l’opera di Baum non è affatto un libro per bambini. E se pure le avventure di Dorothy sono un efficace diversivo per tenere i più piccoli con il fiato sospeso fino all'ultima pagina, è agli adulti che lo scrittore si rivolge, proponendo spunti di riflessione su temi cari ai più: i sentimenti, la ragione, la consapevolezza di sé... Siete pronti ad alzare il sipario? Che si svelino, allora, i segreti del meraviglioso Mago di Oz!
Trama
Siamo nel Kansas, in una giornata grigia come le altre. Forse, un po’ più grigia del solito… anzi, così grigia e ventosa che lo zio Henry sembra davvero preoccupato, mentre osserva pensieroso l’orizzonte dalla porta di casa. Anche sua nipote Dorothy e il cagnolino Toto non sono tranquilli: nell’aria c’è una strana elettricità, quella muta inquietudine che preannuncia l’arrivo di una tempesta. E che tempesta! Un ciclone si abbatte sulla prateria con così tanta furia da sradicare via la casa degli zii e portarla via, sempre più su, sempre più lontano, in balia del vento… Dorothy e Toto, rimasti intrappolati nell’abitazione, si ritrovano così smarriti nel cielo, fino a precipitare in un paese sconosciuto. È una terra di maghi e di streghe, di animali parlanti e creature tanto affascinanti quanto pericolose, e l’unico modo per tornare nel Kansas è chiedere aiuto al grande, potente Oz. Dorothy parte quindi alla volta della Città di Smeraldo, pronta a incontrare il mago più celebre di tutti i tempi; lungo il percorso, tra un’avventura e l’altra, si uniscono a lei dei curiosi personaggi, che ben presto diventano amici preziosi: uno Spaventapasseri, un Taglialegna di Latta e un Leone vigliacco, ciascuno con la propria storia e, in tasca, un desiderio da esaudire: lo Spaventapasseri, che ha la testa piena di paglia, vorrebbe un cervello che lo renda intelligente; il Taglialegna, che ha perduto le sue sembianze umane, desidera ardentemente un cuore che gli batta nel petto; il Leone, infine, è stanco di essere considerato un codardo e, da buon re degli animali, sogna di diventare il più coraggioso di tutti. Il solo in grado di accontentarli parrebbe il leggendario Oz. Certo, però, che trattare con lui non è per niente facile… soprattutto se il mago, in cambio dei suoi favori, vuole morta la perfida Strega dell’Ovest! Tra Scimmie Volanti, scarpette incantate, malvagie fattucchiere e bugiardi illusionisti, riusciranno i nostri eroi a realizzare i loro desideri?
Autore
Frank Lyman Baum è stato uno di quegli scrittori la cui vita eclettica meriterebbe, già di per sé, la stesura di un avvincente romanzo che la racconti. Americano, classe 1856, Baum trascorre un’infanzia agiata, in cui non sono da trascurare né l’amore per la scrittura –insieme al fratello, realizza e pubblica alcuni numeri di un giornale locale di sua invenzione – né i problemi di salute (ha il cuore fragile, e guarda caso proprio di cuore parla il Taglialegna di Latta, uno dei suoi personaggi più celebri). Baum s’innamora ben presto del teatro, una passione costante, per non dire determinante, che lo accompagnerà per il resto della sua esistenza; prima di affermarsi come scrittore di libri per l’infanzia e raggiungere il successo, nel 1900, con la pubblicazione de Il Mago di Oz, l’uomo svolge i mestieri più diversi e particolari (dal direttore di un emporio all’avicoltore, passando per il commerciante di porcellane), certamente esperienze di vita che lo segnano profondamente e che ritroviamo declinate in vario modo all’interno del suo capolavoro. Baum scriverà, tra gli altri, un musical di successo nonché numerosi sequel ambientati nel paese di Oz, per poi morire a Hollywood nel 1919.
Giudizio
Tanto si potrebbe dire su Il Mago di Oz e tanto è già stato detto; non mi avventuro qui in interpretazioni particolari, basate su una solida conoscenza della biografia e della letteratura di Baum, ma desidero semplicemente dare il mio giudizio spassionato, da lettrice qualunque, che s’imbatte per la prima volta in questo volume.
Partirò dal Kansas, lì dove la storia ha inizio: una terra che Baum ci descrive come grigia, piatta e, in un certo qual modo, triste. Specchio di questo luogo sono i suoi abitanti, Zia Emmy e zio Henry, personaggi tetri e spenti che hanno perso la gioia di vivere, in netto contrasto con la fresca, gioiosa vivacità di Dorothy. La bambina spicca come una macchia di colore nell’uggiosa vita familiare degli zii, prigionieri del lavoro e della monotonia, e insieme al suo cagnolino Toto contribuisce a restituire alla fattoria del Kansas quel pepe e quell’entusiasmo che sembrano essere andati perduti con il trascorrere degli anni. Non è quindi un caso se Dorothy è inconsciamente alla ricerca di un cambiamento, di un’avventura mozzafiato che la trascini via dalla banalità di una vita monocorde e plumbea che poco le si addice.
Ed ecco dunque che il mutamento che la bambina aspetta arriva incarnato in un ciclone; da notare l’insolita delicatezza con cui questo fenomeno atmosferico la porta altrove: più che una tempesta violenta e distruttiva, la perturbazione pare quasi una carezza dolce e affabile, un alito di vento soffiato docilmente sul palmo di una mano che, come una coincidenza fortuita, spazza via il grigiore del Kansas per lasciar spazio a un mondo completamente diverso rispetto a quello da cui proviene Dorothy. Il paese di Oz, infatti, è un luogo coloratissimo (ogni regione ha la sua tinta, l’Est è azzurro, l’Ovest giallo, il Sud rosso, la Città di Smeraldo verde…), dove si stagliano immensi prati lussureggianti con alberi carichi di frutta matura e profumata; qui vivono fiori, animali e creature fuori dall’ordinario (l’opposto della prateria grigia e della vita monotona, insomma).
Dorothy giunge a Oz uccidendo, senza volerlo, la perfida Strega dell’Est: una metafora per dirci che ogni cambiamento, anche positivo, necessita del versamento di un tributo da parte nostra. In questo caso, la bambina ha dovuto rinunciare a una vita monotona, ma sicura – spezzando il legame con gli zii e inseguendo il desiderio inconscio di andarsene da loro e da ciò che hanno da offrirle – per abbracciare una nuova avventura. Non per niente, il viaggio nella casetta strappata via dal ciclone le sembra divertente (chiunque altro sarebbe morto di paura!), un chiaro indizio del fatto che Dorothy inconsapevolmente vuole fuggire dal Kansas. Da notare che le scarpette d’argento, lasciate in eredità dalla Strega dell’Est, nascondono il potere di far tornare a casa il proprietario; come svelerà Glinda alla fine del romanzo, Dorothy utilizzandole sarebbe potuta rientrare in Kansas sin dall’inizio, se lo avesse saputo (e voluto). Proprio qui sta il punto: per quanto la bambina sostenga il contrario, per quanto in ogni capitolo del romanzo esprima ardentemente il desiderio di ricongiungersi ai suoi zii, in realtà non è questo che vuole davvero. E rimetterà piede nel suo mondo solo quando si sentirà pronta sul serio, quando il viaggio di scoperta e introspezione dentro se stessa sarà veramente terminato.
Il cuore pulsante dell’intera opera sono i personaggi che Dorothy incontra durante il cammino alla ricerca di Oz: lo Spaventapasseri, il Taglialegna di Latta e il Leone Vigliacco. Tre figure così particolari e ben caratterizzate da diventare iconiche, il simbolo stesso dell’intero libro. Al di là del fatto che ciascuno di loro desidera qualcosa che, in realtà, possiede già in larghissima misura (un modo come un altro, per Baum, di dirci che spesso siamo ciechi di fronte alle nostre qualità e che per arrivare a esserne consapevoli necessitiamo di qualcuno che ci convinca che le possediamo davvero), è interessante sottolineare la costante presenza, nel testo, di un dilemma antico quanto l’uomo: è più importante il cervello o il cuore? Cosa conta di più? Un problema mai attuale quanto oggi, in una società in cui le persone sono spesso accecate dall’ambizione e dalla smania di successo, in un mondo che tende a privilegiare tutto quel che è puramente economico e materiale a discapito dell’essenziale, di ciò che veramente fa la felicità: l’amore, quello per i propri cari, per le proprie passioni, per la natura, per la vita stessa. Anche il Leone bene incarna un tema centrale per l’epoca in cui viviamo: egli, difatti, proietta su di sé i pregiudizi e le aspettative degli altri, che lo vorrebbero coraggioso e forte, visto che la sua specie è sempre stata considerata sovrana di tutti gli animali. Il Leone vive dunque sforzandosi di rispecchiare l'immagine che il mondo ha di lui, a discapito di ciò che sente di essere davvero.
Quanto al personaggio di Oz, le parole si sprecano; gli spunti di riflessione che Baum intesse intorno a questa figura sono numerosissimi, a partire dal luogo stesso in cui il mago ha dimora: la Città di Smeraldo, che porta il nome di una pietra preziosa ed è totalmente dipinta di verde, colore che mai potrebbe essere più emblematico, visto che è la medesima tinta dei dollari. Gli abitanti (il cui materialismo e attaccamento al denaro sono proverbiali, basti pensare alla cameriera del palazzo che dice a Dorothy di non piangere perché altrimenti rovina il vestito!) indossano gli occhiali, sia perché accecati dallo sfarzo di questa metropoli ricchissima, sia perché tale accessorio permette loro di alimentare e mantenere l’illusione, di non scontrarsi con la realtà, di non vedere la città e il suo governatore per ciò che sono veramente. Oz è un bugiardo, un maestro d’inganni, un abile illusionista che ha saputo vendersi e costruire un impero fondato su menzogne e trucchetti da strapazzo; è un uomo che per anni ha vissuto all’ombra di una fama fittizia e immeritata, e che quando viene scoperto si rivela per ciò che è: goffo, insignificante, impotente, incapace di mantenere le promesse fatte. Eppure, Baum permette ugualmente a questo personaggio di riscattarsi, in qualche modo; e attraverso i suoi trucchi, attraverso le parole con cui tanto è abile a confezionare e infiocchettare bugie, Oz restituisce allo Spaventapasseri, al Taglialegna di Latta e al Leone la fiducia in loro stessi, l’autostima e la sicurezza che non avevano mai avuto, e rende concrete, tangibili le loro virtù, somministrandole come una sorta di “placebo”.
Forse solo io vedo nelle streghe quattro aspetti, coincidenti e diversi, della figura della donna, che contribuiscono, in qualche modo, al processo di maturazione e crescita a cui va incontro Dorothy nel romanzo: la Strega del Nord, che bacia la bambina sulla fronte per proteggerla dalle forze del male e le indica la strada da percorrere, incarna la figura materna; la Strega dell’Est, che muore schiacciata da una casa, rappresenta il ruolo stereotipato della casalinga e l'estrema conseguenza della sottomissione alla vita domestica; la Strega dell’Ovest, la più perfida di tutte, esaspera ancor di più questa metafora, visto che costringe Dorothy a ubbidirle e a servirla come una schiava, a far pulizie e a cucinare, e viene sconfitta grazie a una secchiata d’acqua (proveniente da niente di meno che una pentola, uno strumento iconico del focolaio domestico); la Strega del Sud, infine, è la più potente, la più bella e la più giovane, il chiaro simbolo del riscatto e dell’emancipazione femminile, e incarna alla perfezione colei che è diventata Dorothy dopo questo viaggio: una ragazzina forte, coraggiosa, indipendente e capace di condurre i propri piedi (e la propria vita) laddove più le aggrada, sciolta dalle catene della schiavitù domestica che tanto bene serrano i polsi della zia Emmy (la stessa fanciulla che, dopo essere andata a vivere alla fattoria, si è trasformata in una donnina smunta, grigia, che non ride mai, e che viene unicamente dipinta intenta a lavare i piatti, a fare il bucato e a innaffiare i cavoli…).
Ultimo, ma non meno importante, è il personaggio di Toto, sotto le cui sembianze Baum nasconde abilmente il fautore di tutto ciò che accade, la volontà ultima della narrazione, il dipanarsi della trama: è proprio il cagnolino, difatti, la causa di ogni contrattempo che conduce Dorothy a compiere un ulteriore passo all’interno della storia, il punto di svolta che trasforma ogni situazione, la complica e poi la risolve (Toto scappa a nascondersi sotto al letto e Dorothy, per inseguirlo, non arriva in tempo alla botola, così il ciclone la porta via, insieme alla casa; Toto fa ribaltare il paravento dietro cui si nasconde Oz, svelando la reale identità di questo personaggio; Toto corre all’inseguimento di un gatto proprio nel momento in cui Dorothy sarebbe dovuta salire sulla mongolfiera…). Apparentemente i gesti dell'animale sembrano casuali, ma celano la volontà dello scrittore di rappresentare il fato, il destino, il filo conduttore che fa accadere tutto ciò che deve succedere.
Per concludere, aggiungo solamente che Il Mago di Oz è un’opera meravigliosa, pantagruelica, poetica e appassionante (e da me caldamente consigliata); una storia che rientra senza esitazioni nella definizione stessa di classico, che ha elementi originali e innovativi, ma che allo stesso tempo strizza l’occhio alla tradizione, presentando tipicità della fiaba (corvi, lupi, streghe, incantesimi, magie…). Sotto alla scorza del lieto intrattenimento si nasconde un romanzo di formazione incredibilmente complesso, fitto di significati, metafore e temi forti, arricchito da spunti di riflessione sempre attuali. Per queste ragioni, affinché la storia sia compresa e apprezzata, nonché per la presenza di alcune scene piuttosto crude, a mio avviso la lettura della versione integrale del romanzo non può prescindere dal compimento degli undici anni d’età.
Consigliatissimo!
Particolarità e consigli d'uso
- Ideale per intraprendere un discorso sull’amicizia, sull’importanza di unire le forze per raggiungere un obiettivo comune, ma anche per conversare sui desideri e su ciò che davvero conta nella vita per ciascuno.
- A scuola, ottimo spunto da cui partire per temi o approfondimenti relativi alla consapevolezza di sé, all’autostima, ai propri pregi e difetti, alle virtù.
- Si presta in modo particolare per rappresentazioni teatrali, grazie alla caratterizzazione dei personaggi e ai dialoghi facilmente trasponibili in copione.